1985 Alberi sfolgoranti
1985 Alberi sfolgoranti

 Emilio Giossi

 

Emilio Giossi è un artista dell'elegia pittorica; ovvero del racconto figurale che sceglie di far proprio l'incanto, e visita i luoghi della pittura come stati d'animo della pienezza interiore raggiunta. Si direbbe che attraverso il narrato figurale egli voglia ricondurre la realtà delle cose, delle parvenze, delle epifanie, delle forme, alla misura del cielo. Quindi del colore nella sua sede più certa ed assoluta. Giossi infatti introduce la propria sensibilità intimistica in un territorio abitualmente affidato alla grazia e alle cure dell'immateriale; prerogativa, questa, che fa ricorso quasi sempre ai sortilegi dell'avventura cromatica. E' vero, c'è nella sua pittura il luogo e il paesaggio, ma, sia esso un bosco o un'allegoria sospesa, ciò che maggiormente lo sostanzia come immagine è il suo rivelarsi evento dell'emozione.

Il disegno delle figure è così affidato a una linea colore che svolgendosi sullo spazio della tela circoscrive e afferma l'immagine ma nel contempo segue e si perde lungo un orizzonte incommensurabile dove le cose, le forme, i luoghi si mostrano sia per quello che sono sia perchè determinano un tuono cromatico che svela l'insondabile alchimia della percezione.

E' comprensibile che in questo senso Giossi abbia prediletto dichiaratamente un maestro quale Chagall, difficilmente rubricabile nelle poetiche del Novecento. E ne abbia scrutato iconologicamente la pittura come esempio ulteriore di una misura del cielo. Come abitante del cielo.

Condividendone infine il colloquio saturnino tra la luce e il mondo; un mondo evidentemente irreale e miracoloso, che si serve ancora degli avanzi della mitologia. Eppure più di Chagall ciò che sembra serpeggiare oltre il cominciamento espressivo di Giossi nella sua educazione allo sguardo e all'estasi è certamente un'altra figura complessa e sfuggente, ossia l'ombra di Tancredi.

Anche Tancredi credeva al colore e, come Giossi adesso, ne faceva strumento di meraviglie inquiete. Ora bizantine ora francesi, di quella Francia che tiene ancora a mente Barbizon, l'Estaque, Aix e ogni altro riverbero fiammeggiante di terra inondata di meraviglie vegetali.

Tuttavia, anche ritrovando la terra, Giossi non sembra rinunciare a questa spinta aerea, all'immateriale, appunto.

Sono sempre fatti di cielo i suoi incantevoli paesaggi, mostrano una vibrante pasta di cielo. Un cielo venuto a perdersi tra le foglie degli alberi; cielo struggente che dice di se stesso: io sono la tavolozza del mondo. La catena genetico poetica che salda e mette al mondo le epifanie pittoriche di Giossi si riassume ancora nei nomi di Tiziano, di Rothko, di Cézanne; e si tratta di una acquisizione profonda, distante dalla mimesi stilistica, bensì prossima alla acquisizione sostanziale di questi.

In ogni caso Giossi non rinuncia al canto pieno dell'espressione, anzi sembra ricollegarsi alla tradizione della pittura come stato d'animo, come luogo che lo sguardo abita, come utopia dell'armonia (non a caso suona anche il flicorno sgranato di Franz Marc) e intanto si tiene distante dall'indistinto fisiognomico dell'informale. Ne resta fuori perché gli è caro il rapporto con lo spazio concreto dell'apparenza che afferma l'orizzonte e la perdita delle cose nei suoi punti di fuga. Proprio la scelta privilegiata come motivo ricorrente (come fa Cezanne col monte St. Victoire) gli consente di intervenire e scandagliare cosmologicamente la pittura. E intanto il colore diviene una trappola per lo sguardo. Ma c'è un altro dato per nulla irrilevante che occorre affermare di fronte a questa sua scelta, è l'assoluta valenza di contemporaneità che Giossi riesce ad imprimere a quelle immagini che facilmente potrebbero precipitare nella sensazione del passato, del dopo storia, al contrario nella sua visione le cose millenarie della natura sembrano liberarsi dalla stratificazione cui il tempo ormai incalcolabile della cultura pittorica le ha consegnate.

Giossi sembra possedere la grazia di chi dipinge il primo paesaggio, il paesaggio appena scoperto e custodito ancora dalla meraviglia dello sguardo.

Così, al di là d'ogni manierismo e d'ogni postilla che le ultime stagioni hanno imposto all'avventura senza tempo del racconto pittorico.

 

Fulvio Abbate

Roma ,maggio 199O

 



In EXPERIMENTA ONLINE MAGAZIN FUR LITERATUR UND KREATIVES SCHREIBEN

Edizioni speciali sulle mostre " Gesto dell'anima" e " Il Giorno e la Notte"

 

EMILIO GIOSSI - alcuni punti di orientamento

E’ inevitabile che si cominci sempre dai trapassati, e gli antenati di Emilio Giossi si riassumono nei nomi di Tiziano,di Rothko e di Cézanne. E’ lui stesso a darcene ragione: Tiziano per la pittura rapida della maturità, per l’esaltazione della luce e del colore. Cézanne per le forme aperte nell’organizzazione dello spazio e dell’immagine attraverso l’azione cromatica. Rothko per la »spiritualizzazione« del colore che crea spazialità implose ma ricche di sonorità, alludenti alla solitudine esistenziale e alla disperazione dell’inconoscibile.

Ogni testo, di qualsiasi natura esso sia, è l’esito di un lungo percorso storico, è un insieme di parti

organizzate, è un assemblaggio di immagini depositate nella memoria collettiva e di volta in volta rivisitate.

E’ un gioco lulliano le cui componenti si rimandano e si riassemblano, si citano e si alludono, in una sorta di ars combinatoria.

Emilio Giossi conduce il gioco seguendo percorsi inquietanti dove domina la fissità enigmatica di forme in gestazione che richiedono ascolto e completamento nell’atto della fruizione. Quelle che abbiamo definito forme sono in realtà balbettii afasici colti nell’atto di comunicare uno stato di malessere, sono lacerti di senso smarriti nel mare magnum della produzione pervasiva di immagini arroganti a tutto tondo.

Cosciente dell’ambiguo statuto dell’immagine Emilio Giossi ci invita ad un ulteriore lavorio di scavo nei meandri complessi della visione, ci invita ad esercitare un altro sguardo che obliquamente ci faccia accedere alla dimensione dell’invisibile. Per poter abitare l’invisibile occorre dunque, come ci indica Didi-Huberman, »aprire la forma«, disvelarne le componenti psicologiche e antropologiche secondo una nuova sistemazione ontologica che implica il contrasto, la tensione, il dilemma e l’inaggirabile presenza di thanatos.

I frammenti organici che popolano le opere di Giossi sono simboli efficaci della condizione umana »... che sia paesaggio, figura, volto o moto interno io dipingo sempre l’uomo ...« l’uomo come frammento carnale, come piega confusa, come lampo abbagliante di colore. Ciascuna di queste cripto figurazioni annaspa nel vuoto di oscure atmosfere in cerca di una identità irraggiungibile.

La disseminazione della nomenclatura permette di nominare le »cose« di Giossi facendo uso di un largo ventaglio di possibilità come, per esempio, lacerti residuali, stadi eidetici, transizioni di fase, passaggi morfologici, eccetera (prestiti presi dalla chimica, dalla fisica, dalla teoria delle catastrofi). Ma, al di là della deriva nominalista, le »forme« di Giossi sono comunque »cose«, di più: sono »cose in divenire« che, pur resistendo pervicacemente ad essere definite, garantiscono la loro »dicibilità« e la loro »leggibilità « in virtù del singolare uso che Emilio Giossi fa del colore come formante primario delle cose stesse.

Il gesto coloristico emerge sulla tela con i suoi effetti di macchia, di ombra, di contorno, di lembo, di dettaglio, tutti riassumibili in quella sensazione inquietante di incertezza figurale che abbiamo descritto poco sopra. Il colore assume così il ruolo di protagonista della dimensione qualitativa dell’essere mediante l’immagine della »carne« delle cose siano esse lacerti, stadi, transizioni, fasi, passaggi, o semplicemente grumi disperati di senso che inseguono balbettanti un improbabile dialogo con l’assordante colonna visiva dello spettacolo-mondo.

 

Giorgio Fonio -Milano 2012




Sul lembo sensibile del rappresentabile: il vuoto, il silenzio e la forma.

Alcune riflessioni sulla forza del gesto artistico di Emilio Giossi

 

Luciano Boi

EHESS-CAMS, Parigi

 

 

La prima riflessione che m’ispira la visione delle opere pittoriche singolarmente originali e profonde di Emilio Giossi è che il linguaggio appare spesso inetto a esprimere gesti, emozioni, intuizioni e persino pensieri, se con questo termine s’intende solo il linguaggio verbale, ossia quello generalmente formato da fonemi, parole e frasi. Per esempio, si può dire che la pittura è una poesia senza parole. O che la musica esplora le espressioni del silenzio e la tessitura del vuoto. Altro esempio, nella comprensione e nella decifrazione delle emozioni, nostre e altrui, diventa decisiva l’importanza del linguaggio del corpo e dei suoi gesti e cioè dei modi con cui il nostro corpo parla, si esprime, comunica qualcosa di sé agli altri. Il linguaggio del corpo è quello che nasce e rinasce senza fine dagli sguardi, dai volti, dal sorriso e dalle lacrime, dai gesti che nella nostra vita realizziamo e manifestiamo. Le parole della poesia sanno cogliere l’essenza di certe realtà psicologiche (quelle vulnerabili divorate dalle inquietudini e dallo smarrimento) e umane molto più intensamente che non le parole talora gelide e lontane della scienza (della neurologia o psichiatria). I gesti della pittura possono aprire dimensioni spaziali e temporali nei diversi strati della realtà materiale e spirituale facendone scaturire nuove forme e nuovi valori. D’altra parte, i gesti e le parole possono portare con loro un carico di significati impliciti e di sensi traslati i cui effetti non dipendono tanto dal corpo e dalla lingua in sé quanto dalle situazioni, dai momenti e dai contesti in cui esse si trovano immersi. Ad esempio, le parole possono essere pesanti come un macigno e leggere come una foglia, opache come la nebbia e limpide come l’aria dell’aurora, fitte come l’argilla della terra e porose come una spugna, porfiree come la roccia e tenere come un frutto. Con questo carico di esperienze vissute, di proiezioni e di controsensi, le parole possono acquistare un’importanza essenziale; le parole sono creature viventi. Sono le parole che possono aprire un cuore disperato alla speranza, sono sempre le parole che fanno precipitare un destino in equilibrio instabile lungo gli abissi della disperazione. 

La seconda riflessione che ha suscitato in me l’esplorazione dei suoi lavori si ricollega al ruolo e significato dei linguaggi non verbali. La lingua deve ricorrere ad altri mezzi che gli offrono linguaggi diversi, a cominciare da quelli non verbali, per cogliere la densità semantica della realtà, dei suoi tanti livelli di espressione, da quello della vita quotidiana a quello astratto o simbolico. In particolare essa ricorre alla creazione di formazioni linguistiche nuove, dove elementi della realtà quotidiana, che hanno a che fare con le salienze degli oggetti e dei corpi e con le pregnanze prodotte e diffuse da luce, colori e forme, vengono scomposti e ricomposti in una dimensione spaziale, temporale e semantica diversa il cui referente è spesso situato nella sfera dell’interiorità e dell’inconscio. La pittura e la poesia si nutrono di queste continue trasmutazioni e traslazioni semantiche degli elementi del reale, e in questo modo esse generano nuove formazioni di senso e sorprendenti connessioni tra elementi e strati della realtà. La complessità esigente e delicata di molte opere di Emilio Giossi può essere colta se decriptata tramite questa chiave di lettura. Nella poesia, la metafora perviene spesso a esprimere la tensione massima di ciò che è traslato. La metafora è una figura espressiva nella quale molti confini tradizionali scompaiono, dove mondo animato e inanimato, pensieri ed emozioni, razionale e inconscio si avvicinano e si intrecciano, e l’ineffabile riesce parzialmente a cogliersi tramite immagini allusive che sconfinano spesso in linguaggi non verbali, per esempio gestuali, pittorici o sonori. Ad esempio, nelle forme musicali si afferma il ruolo allusivo del suono verso realtà mai esprimibili in strutture linguistiche precisamente definite, ma soltanto evocabili attraverso alchimie musicali tra gli elementi lessicali. Questi linguaggi non verbali possono giungere a una densità di significati che non è tanto imputabile alla parola, al singolo lessema semanticamente pregnante, ma alla concentrazione di intrecci connettivi e alla rete capillare di nessi che vengono a stabilirsi non solo tra le parole e le frasi, ma anche tra i gesti, i suoni, le forme. Tale sottile interazione, che può essere colta lentamente, in una durata lunga e non lineare, dà spazio alla molteplicità interpretativa, alla pluralità del senso, lasciando ampie pause e zone di silenzio e spesso misteriosi i referenti delle metafore. Questo spazio di luce/ombra, di visibile/invisibile che si osserva nelle opere artistiche di Emilio Giossi, interfaccia vitale dove avvengono delle cose lontano dalla presunta trasparenza degli sguardi, dove prendono vita nuove forme, dove si mettono in movimento elementi tradizionalmente fissi e letargici, nasce dalla volontà di sottrarsi ai vuoti schemi della comunicazione massificata, di contrapporsi ai linguaggi pubblicitari, rifuggendo dall’univocità e proclamando la “polivocità” e radicalità del gesto e della parola. L’esperienza vissuta, il nostro essere fenomenologicamente nel mondo, ci mostrano l’insufficienza della lingua per l’espressione delle cose essenziali, dei soggetti primari che ci abitano, di per sé irrapprensentabili. Un modo per oltrepassare questo limite consiste nell’esaltare i paradossi, nell’accentuare le contraddizioni, nell’immaginarsi la congiunzione di concetti opposti, quali vuoto/pieno, presenza/assenza, voce/silenzio, luce/ombra, tramite associazione di termini antitetici che ricordano il procedimento seguito da diversi scrittori e artisti di oggettivamente negare e semanticamente affermare. L’intera opera di Emilio Giossi è attraversata e alimentata da questa tensione segreta, mobile e vitale. 

La terza riflessione cui mi ha condotto l’osservazione e contemplazione raccolte delle opere di Emilio Giossi concerne la differenza importante tra lingua e linguaggio e il polimorfismo di forme e significati di quest’ultimo. In una stessa lingua possono esistere, a volte coesistere, più linguaggi ognuno dei quali scava nella lingua in modo diverso proiettandola verso piani espressivi e di realtà differenti. Una lingua è un libro aperto e molti linguaggi differenti possono innestarsi in essa in determinate condizioni spaziali e temporali favorevoli o grazie a dinamiche e pratiche sociali profondamente innovative che rimettono in discussione abitudini culturali inaridite e così facendo arricchiscono i linguaggi di nuove costellazioni espressive, di immaginari mondi concreti che si differenziano da quello ordinario, di nuovi orizzonti di senso che mettono in movimento altre forme di vita condivise. Così si forgia una “lingua” come si forgiano degli utensili di lavoro, e spesso questa lingua scaturisce dal bisogno di famigliarizzarsi con una pratica o con un mestiere; a volte si scava in una lingua esplorandone possibilità nascoste; si può anche creare una lingua per arrivare ad esprimere stati d’animo insoliti o inaspettati, o per poter parlare del germoglio di un fiore, delle testure di una corteccia o delle nervature di una foglia. Quando quest’atto è cosciente, si sente il bisogno di immettere nel codice linguistico riconosciuto un materiale che non era registrato, e di innestare dei vocaboli che non erano stati ancora contemplati. Si possono introdurre parole ed espressioni per esprimere sentimenti, per vivificare la memoria, per considerare una certa storia. Ma è chiaro che la lingua non si identifica alla realtà e tantomeno ne esaurisce i suoi possibili contenuti e cambiamenti. In altre parole, la lingua non può tradurre compiutamente, rimarrà sempre uno scarto, un residuo tra la lingua e tutto quello che è incluso in ciò che chiamiamo “vita” e “realtà”. Così, per esempio, il vedere e il sentire sono qualcosa di più delle parole con cui via via ci è relativamente possibile esprimere il visto e il sentito. Ci sono molte cose che sono intraducibili, inesprimibili, ad esempio, l’emozione sincera di un incontro, lo stupore di una scoperta, quell’attimo fugace di silenzio che precede la parola e rimarrà nella memoria come la traccia di un sogno che il tempo non cancellerà del tutto. La pittura di Emilio Giossi esplora un territorio importante di questi mondi inesprimibili, ineffabili, dei segreti delle forme e delle pieghe delle cose.

Una quarta e ultima riflessione che devo in parte alla frequentazione dell’opera di Emilio Giossi si rapporta al linguaggio dei gesti e in particolare delle mani. Le mani, si sa, sono una parte speciale del corpo, poiché esse sono nello stesso tempo l’inizio e il culmine di un’intensa attività fisica e spirituale. Oltre al loro ruolo importante nella fisiologia globale di ogni essere umano, in particolare per permettere una certa coordinazione della motricità e dei movimenti del corpo, nelle mani confluiscono emozioni, passioni, turbamenti, silenzi, e da esse si diramano speranze, attese, visioni, progetti. La gestualità del corpo trova nelle mani il suo più potente strumento e la sua più alta espressione: esse riescono a disegnare forme sconosciute o non ancora presentite nel vuoto, a schizzare figure e motivi nello spazio animandolo di nuove possibilità espressive. Le mani contengono in nuce messaggi, segni, significati che vengono propagati attraverso un determinato spazio vissuto e comunicati in modo intelligibile a uno o più individui che li eseguono non senza tentennamenti. Ma le mani e i gesti che ne scaturiscono costituiscono anche un linguaggio segreto, indecifrabile, ineffabile, polisemico, che cela cose non dette e cose difficili da esprimere; esso può aspirare a una certa ricerca mistica o proiettarsi verso un sodalizio con cose e persone che ci attirano in modo speciale. Le mani interagiscono con la realtà in modi molto diversi: esse possono cercare il contatto con la terra, implorare i presunti poteri del cielo, lambire un fiore appena sbocciato, comporre una musica frutto della nostra immaginazione, creare un’opera pittorica inventando forme, colori e qualità sensibili. Il primo esempio è legato alla formazione di tanti mestieri diversi, alla manualità di certi lavori, ma anche al nostro modo di concepire i rapporti con la natura e con altri esseri viventi, animali e vegetali. Questo contatto con la terra ha anche un valore artistico profondo. Le mani, quando lavorano la terra, vi si confondono. Ci sono pittori che si accostano alla superficie del supporto con le mani macchiate dei colori della terra. Ci sono pittori che non possono né mai vorrebbero dimenticare i colori della terra quando si accingono a dipingere un viso, un corpo nudo, lo scintillio di un cristallo, o nulla di più che due rose bianche in un vaso. Emilio Giossi è uno di quelli. Anche la luce esiste per questi pittori e per Emilio in particolare, ma loro la colgono come se fosse scaturita dall’interno della terra oscura. Nel distribuirla sulla tela, o sulla carta, o sulla parete, quello che fanno apparire sono i toni sordi e caldi delle terrecotte, i neri intensi dell’humus, il grigiastro delle radici, il sangue dell’argilla rossa. Dipingono l’umano e la sua contingenza con i colori della terra perché sono questi colori fondamentali, non altri. I colori, tutti i colori, hanno sempre ricercato le forme cui segretamente e impetuosamente aspiravano per essere percepiti al di là della loro manifestazione immediata. I colori esprimono le contraddizioni implicite nelle forme, luogo di un conflitto tra le tensioni delle diverse pregnanze che agiscono sugli oggetti e le proprietà salienti delle superfici che fanno da interfaccia a quest’azione. L’interfaccia è un luogo sensibile particolare, un ambiente dalle proprietà e tessiture complesse, humus naturale della percezione, dove avvengono straordinari incontri tra un mondo variegato e stratificato ed esseri dotati di capacità percettive singolari. Da un altro punto di vista, più antropologico e culturale, costituiscono il campo di un conflitto tra le agitazioni caotiche della ribellione e le passività della sottomissione al costume. Essi hanno dei legami importanti con il mondo dei segni, dei simboli, delle rappresentazioni astratte e sociali. I colori possono custodire e liberare forze, energie, suoni, ritmi, visioni.

L'opera di Emilio Giossi è il risultato di un processo intuitivo, sensibile si potrebbe dire, che coglie le trasformazioni “invisibili” e interne agli oggetti e alle cose. Egli sente l'arte dentro di sè e per praticarla si libera da ogni codice artistico prestabilito e si ribella a qualsiasi autorità intellettuale. Umiltà, curiosità e immaginazione sono i tre ingredienti essenziali del lavoro dell'artista. Le sue forme non appartengono mai all’evidenza, ma esistono in una trama invisibile di una realtà in perenne cambiamento. Quella di Emilio Giossi è un'arte della metamorfosi (come quella che fa passare una crisalide a una farfalla che spalanca le ali e mostra i suoi colori incredibilmente belli), nutrita da una fonte ormai rara, che è un'intuizione-percezione d'insieme vissuta come gesto radicale di ricerca interiore, che cerca di cogliere quei luoghi sensibili che sollecitano e accolgono le trasmutazioni e le formazioni organiche e spirituali, e di portare alla luce le “vere” differenze e le profonde affinità tra luce e ombra, tra visibile e invisibile, tra corpo e spirito, tra singolare e universale. 

Nelle opere di Emilio Giossi, lo spazio e il tempo, alla luce delle forme che crea, emanano un’altra presenza delle cose e degli esseri suscitando comportamenti insoliti fatti per stupire, smarrire, come se la forza e il ritmo di quelle forme contribuissero a rianimare gli oggetti e conferissero un’altra esistenza alle cose. Nei microcosmi artistici creati dal suo paziente lavoro di scavo e di ricerca il senso si arricchisce di altre valenze e si riconfigura esplorando nuove relazioni e connessioni tra i diversi livelli di realtà, da quello opaco e dimenticato della vita quotidiana a quello dei mondi immaginari e simbolici in un gioco sottile e sorprendente di allontanamenti e avvicinamenti reciproci. In questo tempo e spazio non sono ostacoli significativi, passato e presente si sovrappongono e sconfinano in nuove dimensioni, in uno spazio magico, in un tempo visionario; un continuo fluire prende corpo e un mondo di cose vede la luce attraverso la forma: qualcosa comincia a sollevarsi e a liberarsi così dallo sfondo, a emergere, ad apparire con nuove qualità  e modalità espressive. Queste forme portano inoltre una voce senza parole e una musica senza note. La libertà e l’incantesimo che possono generare l’arte, così come la poesia o la matematica, sono intimamente legati al lavoro paziente di variazioni fatto sulle materie organiche e alle lente trasformazioni sensibili che si riesce a discernere nelle cose e negli esseri viventi. 




2012 Firenze Archivio di stato - foto Attilio Molteni
2012 Firenze Archivio di stato - foto Attilio Molteni

CRONOS ABITA LE TOMBE MEDICEE

L’immagine, il tempo e la morte

 

Una occasionale rivisitazione delle Tombe Medicee sollecita Emilio Giossi a considerare il tema

dell’inesorabiltà del trascorrere del tempo nell’esperienza umana. Tema che diviene incombente nell’ultima produzione pittorica dell’artista tanto da imprimere alla stessa un nuovo itinerario di ricerca in cui emerge l’inaggirabile presenza di Cronos e quindi l’ineluttabile precarietà dell’esistenza biologica, l’abisso dell’essere, la morte. Il tempo dunque.

Tempo assoluto, relativo, rettilineo, uniforme, circolare, nel corso dei secoli, da Aristotele a Heidegger, il concetto di »tempo« si è sgranato, si è dissolto, è stato ripensato radicalmente dai filosofi e dagli scienziati per ricomparire nella fisica contemporanea adagiato sulle sabbie mobili del relativismo dove non soggiace più alla rigidità delle vecchie concezioni e diventa »possibilità

e progettazione«, non più ordine univoco e necessario

ma molteplicità di più ordini.

Per esempio il trascorrere del tempo, per una sensibilità creativa, può configurarsi proustianamente come riemersione del passato, oppure può essere stimolato da pulsioni mnemoniche frammentate, da intermittenze del cuore, da lacerti deformati, da rimandi, da colori, suoni, da sentori olfattivi o dal sapore dei cibi.

E’ noto l’episodio iniziale, conosciuto come il ragazzo

e la madeleine, che dà l’avvio alla ricerca del tempo

perduto, l’episodio, che si riferisce al sapore rievocativo di un dolce francese, è ripreso e descritto, sub specie scientifica, da Julia Kristeva in Proust, psicanalisi della memoria (1). Il tempo, inteso come flusso della coscienza, appartiene a un filone filosofico che da Sant’Agostino arriva fino a Husserl e a Joyce. E' di Sant’Agostino infatti la riduzione del tempo alla coscienza »...non ci sono tre tempi (...) ma soltanto tre presenti: il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro« (2).

In sintesi quest’ultima citazione agostiniana potrebbe

essere la chiave di lettura della recente produzione

pittorica di Emilio Giossi dove il flusso del tempo è il

protagonista complesso e consapevole in cui si coniugano carne e sangue, alchemiche putrescenze, simboli, metafore.

Il tempo degli artisti visivi è empiricamente misurabile

perchè simbolizzato e figurativizzato con immagini

concrete. Il tempo dei filosofi è concettuale, teorico;

quello dell’arte è raccontato, illustrato, e si avvale

spesso, per rendersi visibile, di figure umane maschili

e femminili come l’Aurora, il Crepuscolo, il Giorno

e la Notte di michelangiolesca memoria. Ma i corpi di

Michelangelo sono offerti alla visione come forme

compatte e unitarie, così come lo era la cultura che le ha prodotte (3). Nel caso specifico delle Tombe Medicee la narrazione si configura facendo leva su poche immagini puntuali sintetizzate in possenti posture marmoree presenti in quel luogo sacro quasi a sfidare l’inesorabile trascorrere del tempo.

Come è noto la rappresentazione dell’uomo costituisce un rilevante valore di testimonianza, non tanto perché riflette simbolicamente un assetto sociale quanto perché funge da indicatore dei processi mentali seguiti nella costruzione dell’immagine stessa. Il modello dell’uomo raffigurato è un testimone fedele delle intolleranze, delle idiosincrasie, delle credenze, ma anche del sapere conquistato: in breve, del bagaglio ideologico di una civiltà. Nei secoli scorsi la figura umana era, nella maggior parte dei casi, inquadrata nella sua immobile interezza e la preoccupazione degli artisti era quella di catturare il »tutto« dell’immagine che si dava così alla contemplazione come un sistema finito e conchiuso. Oggi come allora il modello che ne scaturisce non raffigura la società che lo ha prodotto, ma ciò che la società reputa raffigurabile nel modello e attraverso il modello stesso.

Ma Emilio Giossi abita un’epoca in cui è venuto meno

l’ideale del sapere inteso come totalità. Egli, così come ogni artista contemporaneo, non può che offrirci dei frammenti disgregati, schizoidi, dissociati, in quanto non c’è più unità tra autore, immagine e mondo.

Questi frammenti sparsi si ricompattano in nuove unità

interpretative sotto forma di lacerti organici, di cripto

figurazioni inquietanti, di indecifrabili parti anatomiche

cui è stato sottratto l’involucro dell’epidermide.

I frammenti organici che popolano le opere di Emilio Giossi sono indicibili, innominabili, al punto che, in altra sede, li abbiamo definiti »cose«, o meglio, »cose in divenire«.

In realtà è l’artista stesso a metterci sull’avviso che »...

sia paesaggio, figura, volto o moto interno, io dipingo

sempre l’uomo...«. Queste cose-umane emergono da

inquietanti oscurità e prendono corpo dalla materia di

cui è fatto lo spazio e dalle vorticose pennellate che

intrecciandosi ci rivelano oscuri e pulsanti grumi che

sono la »carne« della carne di cui è sostanziato l’uomo.

Ecco, osiamo credere che forse è il turbamento laico del dolore umano per l’insensatezza autoreferenziale del ciclo naturale della vita e della morte, che ha smosso la sensibilità di Emilio Giossi nella visita alle Tombe Medicee e che lo ha indotto a una

rimeditazione sul tema eterno del senso dell’esistenza.

 

Giorgio Fonio - Milano 2012

 

 

 (1) Tratto dall‘intervista di J. Kristeva »Marcel

Proust: ontologia e polifonia della narrazione« –

Parigi, Istituto Italiano di Cultura, giovedì 12

maggio 1994

(2) Sant’Agostino, Le Confessioni, XI, 14, 17.

(3) Eugenio Battisti, L’antirinascimento, Milano,

Feltrinelli, 1962. Ultima ed. Aragno Editore,

Torino,2005. In realtà la cultura del Rinascimento

è meno compatta e unitaria di quanto possa

sembrare. Eugenio Battisti fu uno tra i primi

studiosi che fece emergere la presenza di

correnti sotterranee anticlassiche che rimisero

in discussione la concezione monolitica di

questo importante assetto culturale


Ludwigsburg - Atrium  foto di Attilio Molteni
Ludwigsburg - Atrium foto di Attilio Molteni

La poetica di Luise Hepp

 

Per molti anni ho lottato con i quadri di Emilio Giossi.

Mi hanno preso e precipitato in baratri di dolore e gioia. 

Alcune volte ho intravisto angeli, altre volte demoni e mostri. Ma le corde della mia anima, mal battute dai martelletti dei sensi, restavano spesso

attonite: ne veniva un linguaggio interiore fatto di emozioni belle, talora entusiasmanti, ma dai contorni indecisi. Poi Emilio è andato sempre più lontano, ha iniziato ad esplorare nuove prospettive, si aprivano squarci da cui veniva incontro altro. I suoi colori hanno preso caratteristiche plastiche, hanno cominciato ad avvolgersi, a diventare vivi, a lasciar emerge figure di altri mondi. Si intravvedevano esseri che raramente manifestano la loro presenza e pareva di sentirli quasi parlare. Ma come capire la loro lingua? In quel momento è arrivata Luise Hepp

– Plötzliches/Schweigen/eine Sprache/ hören wir/nicht -(Improvviso/silenzio/ una lingua/non sentiamo).

Proprio così: non sentiamo una lingua,ma percepiamo un enigma –was ist/es dann/kleine Tode/oder/die

grosse/Botschaft – (cos’è/allora/piccolamorte/oppure/il grande messaggio). Luise è riuscita ad entrare nella piccola morte dell’intelletto astratto, del nous pathe-tikós che si lascia influenzare passivamente dalle impressioni provenienti dal corpo (Aristotele).

E per il nous pathe- tikós morire è tacere, poiché vive del continuo intrecciare di impressioni con teorie che ricava dalla cultura, creando un tessuto fantastico, ma che minaccia di dissolversi come il sudario di una mummia, appena sfiorato dall’aria fresca della vita.

Solo quando muore può emergere dal silenzio, non più un parlare, per quanto dotto, ma un nuovo percepire, un enigma, Luise sa ascoltarlo – in silenzio – e lasciare che sia questa impressione a cercare espressione  nelle sue poesie. E qui »poesia« torna al suo significato divino »poièsis«, creazione. Non un tessere fantastico e fantasioso dunque, ma un ascoltare il silenzio, percependo il grande messaggio, per poi rivestire di parole il percepito.

Appare così un nuovo materiale con cui costruire, non più concetti che ordinano il mondo passato attraverso

i sensi corporei (nous pathe-tikós), ma la percezione della risposta di Psiche (meravigliosa fanciulla dalle ali di farfalla, innamorata di Sole, immagine dell’anima umana) che ci parla di un altro mondo, più vero e creatore di quello fisico.

È il »nous poie-tikós« (Aristotele) a dare il senso, non la logica passiva della percezione dei sensi corporei.

– … fast zärtlich/neigt die Blume der Verwesung/sich – ( … quasi teneramente/ si inclina/il fiore della putrefazione) qualcosa sta morendo, ma la morte viene letta dagli artisti in una nuova luce: se muore il pensiero astratto, la morte diviene vita. Infatti subito dopo Luise ci dice – alswäre es/kein Abschied – (come se non fosse/un addio). Non è un addio, non è la fine di tutto, si tratta di un nuovo inizio.

Addentriamoci in questo nuovo mondo che non conosce la morte, per scoprire nei colori e nelle parole che – das Wunder/den Schmerz/überspringt/ wie ein Baum/den Winter/im Grün (lameraviglia/va oltre il dolore/come un albero/va col verde/oltre l’inverno).

 

Franco Pais - Lugano  2012


2013 Ludwigsburg Atrium - Foto di Attilio Molteni
2013 Ludwigsburg Atrium - Foto di Attilio Molteni

 

EMILIO GIOSSI ein Wegweiser

Es geht nicht anders, als zu Beginn die zu erwähnen, die Emilio Giossi vorangegangen sind, die Namen, mit denen er in Verbindung gebracht wird: Tiziano, Rothko und Cézanne. Er gibt uns schließlich den Grund dafür: Tiziano, der – mit seinem lebhaftem Schwung im Spätwerk – das

Licht und die Farbe zu betonen verstand ... Cézanne, der offene Formen darstellte, deren Raum und Bildhaftigkeit er über die farbliche Dynamik darzustellen wusste ... Rothko, der sich durch eine »Vergeistigung« der Farben ausdrückte, den Raum in einer Klangfülle implodieren ließ und dabei auf eine existentielle Einsamkeit und eine nicht fassbare

Verzweiflung anspielte. Jedes Thema – welcher Art auch immer – zeichnet einelange geschichtliche Erfahrung nach, ist eine Zusammenfassung von durchgestalteten Abschnitten und eine Zusammensetzung von Bildern, die im kollektiven Gedächtnis. verankert sind und dann von Zeit zu Zeit auftauchen.

Es ist wie in Lullos »Ars Combinatoria« (Raimondo Lullo, Philosoph,1235-1316), in dem die Komponenten aufgeteilt und wieder neu zusammengestellt werden,hervorgehoben oder nur angedeutet sind.

Emilio Giossi versetzt um dieses »Spiels« willen in einen Zustand der Unruhe, in der den werdenden Formen eine geheimnisvolle Festigkeit beisteht und ein Hinhören und Ergänzen bis hin zum Akt ihrer Vollendung.

Die Formen, die wir meinen definieren zu können, sind in Wirklichkeit »ein Stammeln in Sprachlosigkeit«, was in der Tat einen Zustand des Unbehagens vermittelt; sie sind Fragmente voll von einer Bedeutung, die in dem»großen Meer« einer Produktion verloren ging, die von Bildern voll Überheblichkeit und Allgemeingültigkeit überschwemmt wurde.

Emilio Giossi ist sich der Mehrdeutigkeit seiner Bilder bewusst und lädt uns zu einer weiterreichenden Vertiefung eines weitverzweigten »mäanderförmigen Geflechtes« von Visionen ein, er bietet an, uns in einem anderen Blick zu üben, der einen Zugang zu einer (noch) unsichtbaren Dimension erschließt. Um dem Unsichtbaren beizuwohnen, muss man – wie Georges Didi Huberman aufzeigt – »die Formen erweitern«, psychologische und antropologische Komponenten wie auch eine neue Ordnung der Ontologie (Metaphysik) erschließen, was

Kontrast, Spannung, sowie das Dilemma und die unausweichliche Gegenwart des Thanatos umfasst.

Die in Giossis Werken enthaltenen organische Aspekte sind ausdrucksvolle Symbole für die Situation des Menschen. »… Ob Landschaft, Figur, Antlitz oder innere Bewegung, ich male immer den Menschen …« sagt er, »Der Mensch: ein Stück Fleisch, ein verwirrter Faltenwurf, ein durch die Farbe blendender Blitz. Jedes dieser

Kryptogramme, jede dieser verborgenen Darstellungen, tappt in der Leere des dunklen Alls, ewig nach einer greifbaren Identität suchend«.

Die Ausdehnung der Nomenklatur ermöglicht »Giossis Thema« unter Verwendung einer großen Palette von Möglichkeiten zu erfassen, wie z. B. Restfragmente, eidetische Weiterentwicklungen, Phasenüberg.nge, morphologische Abschnitte usw. (Diese Begriffe sind der Chemie, Physik und der Katastrophentheorie nach F. R.Thom entlehnt). Abgesehen von diesen außergewöhnlichen Bezeichnungen, sind »Giossis Formen« immer noch etwas darüber hinaus: es ist »etwas im Kommen«, das hartnäckig dem Versuch fester Definitionen widersteht, das die Möglichkeit des »Ausdrückbaren« wie »Heraus lesbaren« durch die einzigartige Verwendung der Farben sichert, um das Ursprüngliche der Thematik selbst darzustellen.

Die Bewegung der Farben kommt auf der Leinwand durch Farbtupfer, Schatten, Konturen, Linien und kleine Details zum Ausdruck, was sich in einem »Gefühl der Unruhe über die noch nicht definierten Formen« zusammenfassen lässt, das wir weiter oben schon beschrieben finden. Die Farben übernehmen die Hauptrolle in dieser qualitativen Dimension und werden durch das Bild vermittelt, dessen »Fleisch« die Thematik selbst ist, sei es in Fragmenten, Entwicklungsstufen, Phasen, Übergangszuständen oder einfachen, verzweifelten Fetzen eines Bewusstseins, das einem unmöglichen Dialog im ohrenbetäubenden Lärm des weltlichen Spektakels nach humpelt.

 

Giorgio Fonio

 


 

Am Rand des Darstellbaren: die Leere, die Stille und die Form

Einige Reflexionen über die Stärke des künstlerischen Ausdrucks

Emilio Giossis

 von Luciano Boi,

EHESS (L‘École des hautes études de sciences sociales) und CAMS

(Centre d‘analyse et de mathématique sociales), Paris

 

Eine erste Überlegung, warum mich die Betrachtung der Original-Gemälde von Emilio Giossi in ihrer Einzigartigkeit und Tiefe inspirieren, ist, dass die Sprache oft unfähig ist, Gesten, Emotionen,Intuition und sogar Gedanken auszudrücken, zumal die gesprochene Sprache in der Regel nur Laute, Wörter und Sätze enthält.Nun könnte man beispielsweise sagen, dass die Malerei eine

Poesie ohne Worte darstellt oder weiter, dass die Musik, die Ausdrucksformen der Stille und die Stofflichkeit der Leere erschließ Als ein weiteres Beispiel für das Verständnis und die Entschlüsselung von Gefühlen – unserer eigenen und die der anderen – sind Körpersprache und Gestik von entscheidender Bedeutung, also die Möglichkeiten, über die unser Körper spricht, sich ausdrückt, etwas den anderen über uns mitteilt. Die Körpersprache – der Teil, der uns angeboren ist wie auch der, der sich immer wieder gestaltet

– die Augen, die Gesichter, das Lächeln, die Tränen und die Gesten sind das, was wir in unserem Leben erkennen und verankern. Worte der Poesie verstehen dies und erfassen die Essenz bestimmter psychologischer Wirklichkeiten (wie z. B. die Disposition,von Ängsten und Verlusten verzehrt zu werden) und anderer

menschlicher Bereiche – weit intensiver als die manchmal kalte und distanzierte Sprache der Wissenschaft (der Neurologie und Psychiatrie). Die Ausdrucksmöglichkeit der Malerei kann räumliche und zeitliche Dimensionen in den verschiedenen Schichten der materiellen und geistigen Wirklichkeiten eröffnen, so dass sich neue Forme und neue Werte auftun. Auf der anderen Seite können Gesten und Worte eine schwere Last von impliziten Bedeutungen und Metaphern bergen, die nicht nur vom Körper und der Sprache abhängig sind, sondern auch von den Situationen und Momenten aus dem

jeweiligen Kontext, in den sie eingetaucht sind. So kann also ein Wort so schwer wie ein Stein und so leicht wie ein Blatt sein,so undurchsichtig wie der Nebel und so klar wie die Luft bei Sonnenaufgang, so fest wie gebrannter Ton und so porös wie ein Schwamm, so unverrückbar wie ein Fels und so eindrückbar wie eine Frucht. Mit dieser Last von Erfahrungen, Projektionen und Widersprüchlichkeiten, können Worte entscheidende Bedeutung bekommen: Die Worte sind Lebewesen. Es sind Worte, die einverzweifelt hoffnungsloses Herz öffnen können, es sind immer auch Worte, die auf ein Schicksal niedergehen in jenes instabile

Gleichgewicht, den Tiefen der Verzweiflung entlang.

Die zweite Überlegung, die ich in der Auseinandersetzung mit seinem Werk habe, bezieht sich auf die Rolle und Bedeutung der nonverbalen Sprache. Die Sprache muss auch Verweilpunkt anderer Mittel sein, damit sich verschiedene Sprachebenen auftun, angefangen beim nonverbalen Austausch, um die semantische Dichte der Wirklichkeit, die vielen Ebenen des Ausdrucks und das

Alltägliche auf eine abstrakte oder symbolische Weise zu erfassen. Insbesondere geschieht dies über die Schaffung von neuen sprachlichen Gebilden, in denen Elemente des täglichen Lebens mit hervorstechenden Eigenschaften ihrer Objekte und Körper sich mit ihrem (tieferen) Sinn ausdrücken und durch das Licht, die Farben und die Formen in Umsetzung gebracht werden, zerlegt und

wieder zusammengesetzt in eine räumliche, zeitliche und semantische Dimension, die oft in der Sphäre der

innerlichkeit und des Unbewussten liegt. Malerei und Poesie nähren sich durch die ständigen Verschiebungen und Umwandlungen der semantischen Elemente: Auf diese Art entstehen neue Betrachtungsweisen bezüglich

der Sinnhaftigkeit und überraschende Zusammenhänge

zwischen den Elementen und Schichten der Wirklichkeit. Die Komplexität der vielen anspruchsvollen und empfindsamen Arbeiten von Emilio Giossi kann entschlüsselt werden, wenn diese Leseart kultiviert wird. In der Dichtung bekommt die Metapher oft die maximale Dichte über das, was sie in der Übertragung ausdrückt.

Die Metapher ist eine Ausdrucksform, in der viel traditionelle Grenzen überwunden werden, wo belebte und unbelebte Welt, Gedanken und Emotionen, wie auch rationale und unbewusste Ansätze miteinander und ineinander gehen und das nonverbal Ausgesprochene

teilweise durch Bilder voller Anspielungen zu begreifen

ist an der Grenze zur nonverbalen Sprache, zum Beispiel

in Gestik, Bild und Klang. In den musikalischen Formen beispielsweisehat sich der Ton durch seinen suggestiven Anteil nie so genau, wie in sprachlichen Strukturen möglich, zum Ausdruck gebracht, sondern wird nur durch musikalische Alchemie zwischen lexikalischen Einheiten hervorgerufen. Diese Sprache erreicht eine Dichte an Bedeutung, die sich nicht auf ein einzelnes Wort oder ein einzelnes semantisch sinnvolles Lexem zurückführen

und auch nicht nur über die Konzentration von angrenzendenThemen und einem feinen, verbindenden Netz zwischen den Worten und Phrasen definieren lässt, sondern eben auch in Gesten, Klängen und Formen. Diese subtile Interaktion, die sich langsam etabliert, sich langfristig und nicht linear entwickelt, gibt Raum für die Vielfalt der Interpretationen, der Mehrfachbedeutungen,

für große Pausen und stille Zonen für die Vertreter

der oft geheimnisvollen Metaphern. Dieser Raum von Licht und Schatten, von Sichtbarem und Unsichtbarem, ist in der künstlerischen Arbeit von Emilio Giossi die Schnittstelle im Leben, wo die Dinge aus der scheinbaren Transparenz des Auges entschwinden, wo neue Formen zum Leben erwachen, wo sich die Elemente in Bewegung setzen, die aus der Tradition heraus als fest und lethargisch gesehen wurden und dies alles aus dem Wunsch heraus, den leeren Massenkommunikations-Systemen und der Sprache der Werbung zu entkommen, die im Gegensatz dazu die Einzigartigkeit meidet und die »Vielstimmigkeit« in einer Radikalität der Gesten und der Sprache herauschreit. Die gelebte Erfahrung unserer Existenz in einer phänomenologischen Welt zeigt die Unzulänglichkeit der Sprache als Ausdrucksmöglichkeit der wesentlichen Dinge, der primären Themen, die in uns selbst nicht vermittelbar wohnen.

Eine Möglichkeit, diese Beschränkung zu überwinden, besteht in der Hingabe zu Paradoxien, in der Betonung von Widersprüchen, in der Verbindung von Gegensätzen, wie leer – voll, Anwesenheit – Abwesenheit, Sprache – Stille, Licht – Schatten, in den Assoziationen

zu gegensätzlichen Begriffen und sie weist darauf hin, dass dieser Vorgehensweise verschiedene Schriftsteller und Künstler gefolgt sind, um nicht das Objektive zu benennen und dafür das Semantische auszudrücken. Emilio Giossis Werke sind in ihrem Innern davon geprägt und in einer verborgenen, bewegten und lebendigen

Spannung gehalten. Die dritte Überlegung, die mich zur Beobachtung und Betrachtung der gesammelten Werke von Emilio Giossi führte, bezieht sich auf den wichtigen Unterschied zwischen Sprache und Sprechen, sowie

den Polymorphismus von Formen und deren Bedeutung in der gleichen Sprache können mehrere Sprechweisen vorkommen, manchmal auch nebeneinander bestehen, von denen eine jede sich in die Sprache vertieft, sich in verschiedener Weise auf anderen Ebenen des Ausdrucks und in unterschiedlichen Wirklichkeiten projiziert. Eine Sprache ist ein offenes Buch und viele verschiedene

Sprechweisen können sich unter bestimmten günstigen Bedingungen in ihrer räumlichen und zeitlichen Dynamik wie auch über soziale und tiefreichende innovative Dynamik und Praktiken so aufbauen, dass vertrocknete kulturelle Gewohnheiten in Frage gestellt und die Sprechweisen mit neuen Konstellationen des Ausdrucks bereichert werden können, mit imaginären Welten, die

von den gewöhnlichen abweichen, mit neuen Sinnhorizonten, so dass andere Formen des gemeinsam geteilten Lebens in Bewegung kommen. Wir können also eine »Sprache« schmieden,wie wir Arbeitswerkzeuge schmieden; diese Sprache kommt aus dem Bedürfnis, sich mit einer Praxis oder einem Beruf vertraut machen

zu wollen und so schürft man weiter und erkundet versteckte Möglichkeiten in der Sprache; schließlich kann eine Sprache geschaffen werden, die ungewöhnliche oder unerwartete Stimmungen auszudrücken vermag, die über die Knospe einer Blume, über die Maserung einer Baumrinde oder das Adergeflecht eines Blattes spricht. Ist man sich dieses Vorganges bewusst, spürt man die Notwendigkeit, in dem sprachlichen Code das

hinzuzufügen, was bis dahin noch nicht bedacht wurde. Man kann Worte und Formulierungen eingeben, um Gefühle auszudrücken, um die Erinnerung zu beleben, um bestimmte Geschichten zu betrachten und um die Transformation von Materie zu beschreiben. Doch ist deutlich, dass die Sprache nicht mit der realen Situation

identisch ist, geschweige denn ihren gesamten Gehalt und ihre möglichen Veränderungen beinhaltet. Mit anderen Worten: Die Sprache kann nie vollständig übermitteln, immer wird eine Lücke bleiben, ein Rückstand der Sprache gegenüber all dem, was enthalten ist, wenn wir von »Leben« und »Realität« sprechen.

So sind zum Beispiel Sehen und Fühlen wesentlich mehr als die Worte, mit denen wir nach und nach ausdrücken können, was »Gesehenes« und »Gefühltes« bedeutet. Es gibt viele Zustände, die nicht übersetzbar sind, unbeschreiblich bleiben – zum Beispiel, die wahren Gefühle einer Begegnung, das Wunder einer Entdeckung,

ein flüchtiger Moment der Schweigens, der dem Wort vorausgeht und es erinnern lässt wie die Spur eines Traumes, den die Zeit nicht vollständig löschen kann. Das gemalte Werk Emilio Giossis spürt ein wichtiges Gebiet dieser unaussprechlichen, unsagbaren Geheimnisse der Formen und Falten der Dinge auf.

Ein vierter und letzter Punkt, warum ich mich auf das Werk Emilio Giossis einlasse, betrifft die Sprache der Gestik und vor allem die der Hände. Die Hände sind, wie wir wissen, ein besonderer Teil des Körpers, da sie sowohl den Beginn wie den Höhepunkt einer intensiven physischen und spirituellen Aktivität darstellen. Neben ihrer wichtigen Rolle in der allgemeinen Physiologie eines jeden Menschen, wo sie manches an Koordination von motorischen Aktivitäten und Bewegungen des Körpers ermöglichen, kommen in den Händen Emotionen, Leidenschaften, Unruhe und Schweigen zusammen und es gehen von ihnen Hoffnungen, Erwartungen,Visionen und Projekte aus. Die Gestik des Körpers findet in den

Händen ihr stärkstes Instrument und ihre höchste Ausdrucksmöglichkeit: Die Hände können eine unbekannte oder noch nicht dargestellte Form aus der Leere heraus zeichnen sowie Figuren und Motive in einem Raum mit Schwung und neuen Möglichkeiten des Ausdrucks skizzieren. Die Hände enthalten zudem Botschaften, Zeichen, Bedeutungen, die in einem vorgegebenen Raum gelebt und kommuniziert werden können, so verständlich, dass sie für eine oder mehrere Personen ohne Zögern durchführbar sind. Doch aus den Händen und der Gestik beginnt auch eine geheimnisvolle

Sprechweise zu entstehen, schwer zu entziffern,

unbeschreiblich, vieldeutig, mit Ungesagtem und schwer Aussprechbarem; sie kann zu einer mystischen Suche werden oder in Richtung einer Vereinigung von Themen und Menschen streben, die sich in einer besonderen Weise anziehen.

Die Hände sind mit der Wirklichkeit auf sehr

unterschiedliche Weise in Interaktion: Sie können den Kontakt mit der Erde suchen, die möglichen Himmelsmächte anflehen, eine Blume im Erblühen

liebkosen, Musik in unserer Vorstellungskraft komponieren und in einem Gemälde Formen, Farben und Sensibilität schaffen Das erste Beispiel steht in Zusammenhang mit der Ausbildung so vieler unterschiedlicher Fertigkeiten, also dem Handwerkszeug für bestimmte Arbeiten und auch, um unsere Art und Weise, wie wir unsere Beziehung zur Natur und anderen Lebewesen, Tieren und Pflanzen begreifen. Diese Berührung mit der Erde hat auch einen tiefen künstlerischen Wert. Wenn Hände Land bearbeiten,

entsteht eine Durchmischung. Es gibt Maler, die an die Bildoberfläche mit ihren Händen herangehen und Farbtupfer aus den Farben der Erde setzen. Es gibt Maler, die nie und nimmer die Farben der Erde vergessen, wenn sie ein Gesicht, einen nackten Körper, das Funkeln eines Kristalls oder auch nur zwei weiße Rosen in einer Vase malen. Emilio Giossi ist einer von ihnen. Licht ist für diese Maler ebenso existentiell, insbesondere für Emilio Giossi – doch er ergreift es so, als ob es einem Spalt aus dem Innern einer dunklen Erde entspringt. Bei ihrer Verteilung auf die Leinwand, auf Papier oder an der Wand,

erscheinen die Farben als

warme Töne aus Terrakotta, im intensiven Schwarz des Humus, im Grau der Wurzeln und im Blut der roten Tonerde. Zeichnen sie den Menschen und seine Gestalt mit diesen Erdfarben, dann geschieht es mit diesen Grundfarben und keinen anderen. Die Farben, alle Farben, beinhalten immer die Formen, die sie als

Geheimnis tragend intensiv anstreben und können deshalb unmittelbar in ihrer Ausgestaltung erfasst werden. Die Farben drücken die Widersprüche implizit in Formen aus und die Konfliktpunkte über die Dichte verschiedener Bedeutungen, so dass sie in ihrer Wirkung auf Objekte und Oberflächen mit deren hervorstechenden Eigenschaften eine Schnittstelle in diesem Ablauf bilden. Diese Schnittstelle ist ein besonders sensibler Ort,

eine Umgebung von Eigenschaften und komplexen Strukturen, natürlicher Humus der Wahrnehmung, mit ungewöhnlichen Begegnungen, die in einer Welt voll Vielseitigkeit und Vielschichtigkeit und einer einzigartigen Wahrnehmungsfähigkeit stattfinden.

Von einem anderen Standpunkt aus betrachtet, tragen mehr anthropologische und kulturelle Faktoren wesentlich zu einem Konfliktfeld bei, angefangen bei den chaotischen Wirren einer Rebellion bis zum Tragen von Uniformen. Sie haben wichtige Verbindungen mit der Welt der Zeichen, der Symbole, wie den abstrakten und sozialen

Vorstellungen. Die Farben können Kräfte, Energien, Klänge, Rhythmen, und Visionen hüten und freisetzen.

Das Werk Emilio Giossis ist das Ergebnis eines intuitiven, empfindsamen Prozesses, der – so könnte man sagen – mit der Transformationen von »unsichtbaren« und internen Objekten und Themen zu tun hat. Er fühlt die Kunst in sich und über das Ausüben dieser Kunst, wird sie frei von jeder vorgegebenen künstlerischen

Festlegung und rebelliert gegen jede intellektuelle

Autorität. Demut, Neugier und Vorstellungskraft sind die drei wesentlichen Bestandteile der Arbeit des Künstlers. Seine Formen lassen sich nicht festlegen, doch es gibt sie unsichtbar in einem Teil einer sich ständig verändernden Wirklichkeit. Die Kunst Emilio Giossis ist eine Kunst der Metamorphose (wie die Verwandlung einer Larve zum Schmetterling, der seine Flügel öffnet und unglaublich

schöne Farben zeigt). Es ist eine Kunst, die sich aus einer selten gewordenen Quelle nährt: der intuitiven Wahrnehmung, die mit einer rigorosen Geste die Seele sucht und versucht, diese sensible Seite zu erfassen. Gewollt ist die Transformation und die Ausformung

von Organischem und von Spiritualität, die die »echten«

Unterschiede und die tiefe Affinität zwischen Licht und Schatten, zwischen Sichtbarem und Unsichtbarem sowie zwischen Körper und Geist, zwischen Einzelnem und Universellem aufnimmt. Im Werk Emilio Giossis haben die Dinge und Wesen eine andere Präsenz. Geschaffen durch Raum und Zeit und ausgehend vom Licht der Formen wird der zugrundeliegenden Thematik ein ungewöhnliches Vorgehen ermöglicht, atemberaubend, bestürzend,

so, als ob die Stärke und die Rhythmik dieser Formen zu

einer Wiederbelebung von Objekten führen und den Dingen ein anderes Leben geben kann. Der Mikrokosmos des Künstlers schafft durch sein unermüdliches Schürfen und Forschen eine Sinngebung, die mit anderen Werten angereichert ist und die neu erkundete Beziehungen und Verbindungen zwischen den verschiedenen Ebenen der Wirklichkeit gestaltet, die sonst undurchsichtig und vergessen im täglichen Leben sind, so dass imaginäre und symbolische Welten in einem feinen und

überraschenden Spiel im wechselseitigen Auf und Ab sind. In dieser Zeit und diesem Raum gibt es keine nennenswerten Hindernisse; Vergangenheit und Gegenwart überlagern sich und dringen in neue Dimensionen; ein magischer Raum, eine visionäre

Zeit, ein kontinuierlicher Fluss nimmt Gestalt an und eine Welt der Dinge erblickt das Licht durch die Form: Etwas beginnt sich zu erheben, sich aus dem Hintergrund zu befreien, um mit neuen Qualitäten und Ausdrucksformen zu entstehen und zu erscheinen;weiter tragen diese Formen eine Stimme ohne Worte und eine

Musik ohne Noten. Die Freiheit und den Zauber, die Kunst wie auch Poesie und Mathematik schaffen können, sind zutiefst mit dem unermüdlichen Bemühen verbunden, die Veränderungen des Organischen möglich zu machen. Ebenso wie eine langsame Transformation, die uns in empfindsamer Weise mit allen Dingen und

Lebewesen eins sein lätss.

 


CRONOS bewohnt die Medici-Gräber

Das Bild, die Zeit und der Tod

  

In einer aktuellen Bearbeitung der Medici-Gräber ermuntert uns Emilio Giossi, die Problematik der Unbarmherzigkeit im Fluss der Zeit als eine wesentliche Erfahrung des Menschen zu betrachten.

Es ist eine Thematik, die Hauptgegenstand in den zuletzt gemalten Werken des tief beieindruckten Künstlers ist und gleichzeitig ein neuer Weg der Suche, auf dem sich die unausweichliche Präsenz Kronos zeigt, die unvermeidliche Unsicherheit der biologischen Existenz, der Abgrund, der Tod.

So ist die Zeit: absolut, relativ, geradlinig, glatt, kreisend, im Fluss der Jahrhunderte; von Aristoteles bis Heidegger wurde sie auseinander genommen und enträtselt, von Philosophen und Wissenschaftlern wurde sie radikal neu gedacht, um dann in der modernen Physik neu aufzutauchen. Doch sie liegt auf dem Treibsand eines Relativismus, in dem die Zeit nicht mehr der Starre alter Vorstellungen unterliegt und nun zur »Möglichkeit und zum Entwurf« wird, also nicht länger als ein eindeutiges, notwendiges Maß, sondern in der Vielfalt mehrerer Herangehensweisen möglich wird. Der Fluss der Zeit kann bei einer kreativen Sensibilität Gestalt annehmen – wie beispielsweise bei Proust – als Wiederkehr der

Vergangenheit, oder kann von Erinnerungsbruchstücken stimuliert werden, aus einer Intermittenz des Herzens, aus verformten Teilstücken, aus Assoziationen, Farben,

Klängen, der Wahrnehmung eines Geruches oder dem Geschmack von Speisen. Bekannt wurde die

Eingangsszene (Proust, Auf der Suche nach der Verlorenen Zeit), als über ein kleines französisches Gebäck (Madeleine) beim Erzähler Erinnerungen

an seine Kindheit ausgelöst werden. Dieses Szene wurde von Julia Kristeva wieder aufgenommen und in einer wissenschaftlichen Arbeit beschrieben(Proust, Psychoanalyse des Erinnerns).

Eine Richtung der Philosophie – von Augustinus bis hin

zu Husserl und Joyce – verstand die Zeit als

Bewusstseinsstrom. So sieht Augustinus die Begrenzung der Zeit durch das Bewusstsein: es gibt keine drei Zeiten (...), doch drei Gegenwartsmöglichkeiten, das gerade- nichtmehr- Seiende (das Vergangene), das gegenwärtige

Seiende und das gerade noch-nicht-Seiende (das

Zukünftige)(2).

In dieser eben zitierten Aussage Augustinus könnte der

Schlüssel zu den zuletzt gemalten Werken Emilio Giossis

liegen, in denen der Lauf der Zeit die Hauptperson ist,

komplex und bewusst, sich mit Fleisch und Blut

verbindend, mit der Alchemie der Verwesung, als Symbol

und Metapher.

»Die Zeit der bildenden Künstler« ist empirisch fassbar

und wird mit konkreten Bildern symbolisch und bildhaft

ausgedrückt. »Die Zeit der Philosophen« ist konzeptionell

und theoretisch. In der Kunst wird die Zeit erzählt

und dargestellt und zeigt sich meist in männlichen und

weiblichen Skulpturen wie im Werk Michelangelos »die

Morgenröte, die Dämmerung, der Tag und die Nacht«.

Doch die Skulpturen Michelangelos zeigen den Blick auf

eine einheitliche und kompakte Beschaffenheit, ebenso

wie die Kultur, über die sie entstanden sind (3). Im besonderen Fall der Gräber der Medici, gestaltete sich die

Erzählung so, dass das ganze Gewicht auf wenige Bilder

gelegt ist und in mächtigen Marmorgestalten zusammenfließt, die an diesem heiligen Ort dem unaufhaltsamen Lauf der Zeit beinahe trotzen.

Bekanntlich stellen menschliche Darstellungen einen

bedeutenden Wert als Vertreter ihrer Zeit dar, nicht

nur weil sie die soziale Ordnung symbolisch spiegeln,

sondern auch, weil sie als Indikator für die mentale

Prozesse dienen, denen die Konstruktion des Bildes gefolgt ist. Die Skulptur, die den Menschen darstellt, ist

ein verlässlicher Zeuge von Intoleranz, von Eigentümlichkeiten, von Überzeugungen, doch auch von gewonnener Erkenntnis, kurz gesagt: von der

ideologischen Last der Zivilisation. in den vergangenen Jahrhunderten wurde in den meisten Fällen der Mensch in seiner Gesamtheit dargestellt und das Anliegen der Künstler war es, das »ganze« Bild zu erfassen, das zur Kontemplation eines endlichen und in sich geschlossenen Systems diente. Heute wie damals gilt, dass das Modell nicht durch die Werkstatt entsteht, die es fertigt, sondern durch die Auffassung einer Gesellschaft, was es mit ihm und durch es darstellbar macht.

Emilio Giossi lebt nun in einer Zeit, die nicht mehr das

Ideal hat, Wissen in seiner Gesamtheit zu verstehen.

Wie viele zeitgenössische Künstler verteilt er Bruchstücke

– verstreut, aufgespalten, dissoziiert –, so besteht eine

Einheit zwischen Künstler, Bild und Welt.

Diese vereinzelten Fragmente werden in neuen Einheiten

wieder zusammengefügt und können als Ausdruck von

Teilen organischer Formen, der Verschlüsselung beunruhigender Darstellungen und kaum erkennbaren Körperteilen sein, deren Haut abgetragen ist. Die organischen Fragmenten, die im Werk Emilio Giossis auftauchen, sind unsägliche, unbenennbar und weisen darauf hin, was an einer anderen Stelle bereits »cose-Dinge«, oder noch besser, »die Dinge im Werden« genannt wurden. Dabei gibt uns der Künstler selbst Kenntnis hierüber, wenn er sagt: »... ob Landschaft, Gestalt, Gesicht oder innere Bewegung, ich male immer den Menschen ...«. Diese cose-umane (Mensch-Ding) entstehen aus einem aufgewühlten Dunkel und nehmen Gestalt aus dem Bereich an, der aus einem Raum geschaffen wird, wo durch wirbelnden Pinselstrichen das Verborgene sich entpuppt, Verknüpfungspunkte enthüllt und verwoben werden. So wird das Wort »Fleisch« zum eigentlichen Fleisch, was den Menschen ausmacht.

Nun könnten wir annehmen, dass möglicherweise die

Erschütterung der Welt, die durch das Leiden der

Menschen an der Sinnlosigkeit des natürlichen Kreislaufs

von Leben und Tod hervorgerufen ist, Emilio Giossis

Empfinden beim Besuch der Medici-Gräber berührt hat,

was zu einem Überdenken des ewigen Thema über

den Sinn unseres Daseins geführt hat.

 

Giorgio Fonio

 


 

Die Poetik von Luise Hepp

 

Seit vielen Jahren ringe ich schonmit den Bildern von Emilio Giossi.

Sie berühren mich und stürzen mich in die Tiefen von Freude und Leid.

Manchmal sehe ich Engel, manchmalDämonen und Monster. Doch die Saiten meiner Seele blieben, durch den Hammer der Sinne grob angeschlagen, oft erstaunt: eine innere Sprache für schöne Gefühle war entstanden – manchmal sogar voll Begeisterung, doch nicht mit eindeutigen Konturen.

Emilio ging immer weiter und weiter, hat begonnen, neue Perspektiven zu erkunden, indem er Spalten geöffnet hat, aus denen sich neue Begegnungen ergaben.

Seine Farben haben plastische Eigenschaften angenommen, haben schließlich begonnen, lebendig zu werden und geben die aus einer anderen Welt entstandenen Figuren frei. Selten zeigen sich diese flüchtige Wesen wirklich und es scheint beinahe, als könne man hören, wie sie sprechen. Aber wie kann man ihre Sprache verstehen?

In diesem Moment taucht Luise Hepp auf:

Plötzliches

Schweigen

eine Sprache

hören wir nicht - ...

Das ist richtig: wir hören keine Sprache, doch wir nehmen ein Rätsel wahr:

was ist

es dann

kleine Tode

oder

die große Botschaft – ...

Luise ist es gelungen, den kleinen Tod dem abstrakten Intellekt des nous pathe- tikós zu geben, der passiv von den Eindrücken aus dem Körper beeinflusst wird (nach Aristoteles).Doch der nous pathe- tikós wird sterben und schweigen, da er durch die ständigen Verknüpfungen von Wahrnehmungen aufgebaut ist, aus Theorien, die der Kultur entstammen, die einen fantastischen Stoff

schaffen, der aber droht, sich wie das Leichentuch einer Mumie aufzulösen, kaum dass es von der frischen Luft des Lebens berührt wird.

Nur wenn er aber stirbt, kann etwas aus der Stille entstehen: nicht das bisherige erlernte Sprechen, sondern eine neue Wahrnehmung, ein Rätsel. Luise weiß, wie man zuhört – in der Stille – und gibt diesem Eindruck in ihren Gedichten einen Ausdruck. So kehrt »Poesie« zu ihrer göttlichen Bedeutung als »poiésis«, als Schöpfung. Es geht nicht um einen fantastischen und fantasiereichen Stoff, sondern nur darum, in die Stille zu hören, die »große Botschaft«

zu erfühlen und dann das Wahrgenommene wieder in Worte zu kleiden.

Die Poesie wirkt wie neuer Stoff, mit dem nicht weiter Konzepte aufgebaut werden, bei denen die Welt mit den Sinnen des Körpers (den nous poie- tikós) erfasst wird, sondern kommt aus der Wahrnehmung psychischer Reaktionen (Psyche – das schöne Mädchen mit Schmetterlingsflügeln, das die Sonne liebt und als Bild der menschlichen Seele gilt). Sie spricht zu uns von einer anderen Welt, die näher der Schöpfung ist wie die physische Welt.

Der »nous poie- tikós« (Aristoteles) ist in diesem Sinne nicht der nous, der passiv aus der Wahrnehmung derkörperlichen Sinne entsteht:

fast zärtlich

neigt die Blume

der Verwesung

sich

Es wird etwas sterben. Der Tod jedoch wird von den Künstlern in einem neuen Licht gesehen: es stirbt das abstrakte Denken, der Tod wird zum Leben.

Unmittelbar darauf äußert Luise:

als wäre es

kein Abschied

Es ist kein Abschied, es ist nicht das Ende von allem, es ist ein neuer Anfang.

Lassen Sie uns in diese neue Welt gehen, die keinen Tod kennt, um ihre Farben und ihre Worte zu entdecken, dort wo:

… das Wunder

den Schmerz

überspringt

wie ein Baum

den Winter

im Grün

 

Franco Pais

 



2013 Ludwigsburg Atrium : L'uomo che cammina - Foto Attilio Molteni
2013 Ludwigsburg Atrium : L'uomo che cammina - Foto Attilio Molteni
Casa del Mantegna-Mantova. Dialoghi con l'angelo
Casa del Mantegna-Mantova. Dialoghi con l'angelo

EMILIO GIOSSI

 

 

VISIONI DELL’OLTRE

 

RITMICHE DEL GESTO

 

All’origine del suo percorso creativo, Emilio Giossi interpreta le morfologie della figura in senso fantastico, attraverso mutevoli sovrapposizioni del colore, moti espansivi che si propagano nello spazio come luogo di rivelazione interiore. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta la scrittura del corpo è affidata al respiro vitalistico delle forme, alle dinamiche impulsive del gesto, variazioni del ritmo spaziale e intonazioni sensibili del colore, orientamenti legati alla trasformazione delle tensioni figurali.

 

Intorno all’espressività allusiva del corpo umano verte il movimento di ogni opera, il fulcro strutturale della figura persiste anche quando svanisce l’aspetto riconoscibile dell’immagine favorendo l’azione formante del colore, protagonista di ogni evento immaginativo.

 

Le atmosfere che Giossi esplora durante tutte le fasi di ricerca costituiscono un’esperienza esemplare per chi intende la pittura come interrogazione del colore-luce, disvelamento di pensieri nascosti nell’inconscio, sguardi che gravitano nell’invisibile attraverso le forme corporee del visibile.

 

In questo viaggio intuitivo tra realtà terrestre e mondo immaginativo l’artista si muove amplificando l’orizzonte della visualità con il pensiero rivolto alla poesia, alla musica e alla danza, discipline creative congeniali alla sua formazione culturale, caratterizzata dall’esigenza di creare corrispondenze tra le arti, sottili connessioni tra linguaggi consonanti.

  Il gesto cromatico entra in sintonia con i movimenti corporei, oscilla tra accelerazioni improvvise e rallentamenti riflessivi, dinamiche ambivalenti che consentono di svelare nuove spazialità attraverso colori che dilatano il confine delle forme, generano energia vitale sviluppando linee euritmiche e luminose purezze, elementi protesi oltre i perimetri della superficie.

 Queste relazioni sinestetiche convergono sempre verso la dimensione fluente del colore, esso stesso corpo e soggetto predominante, sfera della pienezza dell’essere, orizzonte estraneo ai dogmi della razionalità.

 Il trattamento fluido della materia determina il continuo generarsi dell’immagine, il gesto creativo si stacca dal dovere della rappresentazione per determinare insorgenze visive che affiorano dal profondo, aprendo varchi possibili verso uno spazio senza tempo.

 In una raccolta poetica di Giossi (La rosa invisibile, 1997) i versi si addentrano nell’ombra dei pensieri, le apparizioni aleggiano come schegge lucenti, la memoria emana brividi e vertigini spaziali, lo sguardo danza tra la terra e il cielo, le fluenze del colore captano parvenze spettrali e celestiali. L’immaginazione del poeta vola in sintonia con quella del pittore, entrambi fissano punti dispersi nell’infinito, entrambi desiderano dar voce a visioni ineffabili, mondi inafferrabili dove il ritmo dei versi e la struttura formante delle immagini si inseguono reciprocamente, in tese armonie con il vuoto.

 Per queste ragioni, bisogna predisporsi alla lettura delle opere senza preclusioni, in modo da poter seguire i “gesti dell’anima” nella fluidità fantasmatica che il colore genera plasmando la materia gravida di luce.

 La posizione defilata di Giossi nei confronti del sistema delle arti ha permesso di approfondire la ricerca e il possesso del colore senza subire i richiami accattivanti delle tendenze predominati negli ultimi decenni.

 Del resto, la pittura – di qualunque orientamento essa sia- ha un destino diverso rispetto alle ipotesi cosiddette innovative dell’attualità, soprattutto quelle affermatesi nel segno delle tecnologie più o meno virtuali.

 Quello della pittura è oggi un territorio riservato a chi ama indagare ciò che si annida nelle ombre del visibile, nei palpiti della memoria interiore, nella visione di abissi impalpabili, sfiorando spazi senza nome, soglie sospese, percepibili solo accettando il rischio di disorientarsi nell’inconoscibile.

 Di questo azzardo deve farsi carico ogni artista che voglia misurarsi non solo con il tempo storico, ma con le potenzialità intuitive che lo mettono in rapporto con il tempo cosmico, dimora di attitudini inventive che le vibrazioni del colore sono in grado di incarnare come fonte di spaesamento.

 Ciò avviene soprattutto quando il pittore non teme di esprimere ciò che affiora inavvertitamente dal cuore della materia, persino da quel senso disperato della visione che nasce davanti allo spazio vuoto, dominato dal pensiero dell’immensità, dalla dimensione del mistero.

 Se i pittori della sua generazione si muovono su opposti versanti di ricerca, dalla fabulazione narrativa all’azzeramento aniconico, nel caso di Giossi l’identità creativa è legata al referente figurale, legame persistente che si amplifica nei sentori dell’astratto, e questo avviene in special modo quando il dato iconografico si vaporizza nella pura pulsazione cromatica.

 Dunque, dopo aver messo la figura al centro del proprio mondo, il nostro pittore si è avviato verso una stagione creativa pervasa da accadimenti perturbanti, dall’ansia di ascoltare non solo la voce dell’anima ma l’eco dei suoi abissi, lontano da plausibili certezze (“mimesi di corpi d’anima in tumulto”) per rivolgersi al canto del colore nel fervore del suo apparire.

 L’immagine dipinta è suscitata dall’evento della sua genesi formativa, è forma della materia che si mostra nel divenire dell’impulso creativo, restituendo allo spettatore il senso della continua mutazione, fervida metamorfosi del pensiero che alza lo sguardo oltre i confini del visibile.

 

 L’IMMAGINE VELATA

 

Anche se Giossi ama evocare iconografie antiche e classiche, temi sacri e citazioni mitologiche (dall’arte greca al Rinascimento, dal Manierismo fino al Simbolismo), nel corso del suo evolversi si confronta con la dimensione sospesa del presente, si apre al dialogo con la realtà dell’esistenza per inoltrarsi verso la visione del colore nella pienezza della sua forza poetica.

 E’ come se ogni referente immaginifico (L’urlo, Il bacio, la Pietà) fosse tramite di uno sguardo che non si concede mai completamente, preso dallo sgomento di un'altra dimensione, dall’impossibilità di comprendere presenze indicibili che solo il linguaggio dell’arte può rivelare.

 Emblematica è l’attenzione dedicata all’immagine velata, alla natura diafana del colore che attenua l’identità corporea per rivelare il contrasto tra l’espansione della forma e il silenzio enigmatico dello spazio circostante.

 Ogni opera costituisce un passaggio verso l’oltre che riverbera di luce fantasmatica, le immagini penetrano negli occhi come luoghi che sprigionano refoli d’aria, vortici di fuoco, gorghi d’acqua, vuoti d’ombra, e altre apparizioni che sollecitano continui risvegli immaginativi.

 Per cogliere le vertigini percettive che s’avvertono osservando le movenze della pittura, bisogna lasciarsi andare ai movimenti abbaglianti dello spazio, ai contorni indistinti delle forme, atmosfere fondamentali per captare ciò che affiora dall’epidermide del colore, nel lieve trasparire delle velature.

 Esse sono la memoria nascosta del corpo che si separa da sé stesso, si stacca dalla propria impronta per rivelare una diversa pregnanza della forma, tramutando l’identità della figura nella visione del suo nascondimento: essendo il corpo e il suo fantasma due momenti congiunti e inseparabili.

 Stupore e meraviglia accompagnano la lieve opacità di cui si nutre il gesto pittorico in preda alle metamorfosi corporee, moti dell’animo e fatue apparizioni che creano sconfinamenti nell’altrove smisurato.

 Per queste ragioni è necessario seguire gli slanci del ritmo pittorico, la loro capacità di alterare e persino deformare i nuclei figurali, sollecitando gli impulsi del profondo, le sonorità luminose nascoste nelle fibre del colore, le movenze sfuggenti che svelano l’energia che dà forma al loro manifestarsi.

 Il fatto è che in pittura ogni tensione conoscitiva deve sempre essere calata nella verità della materia, nell’ebrezza del suo trasfigurarsi, questione che esige precise procedure tecniche ma non comporta la certezza del loro esito.

 L’immagine del “tempio” è evocata da Giossi come dimora simbolica di pensieri rivolti alla divinità, luogo che accoglie i rituali del culto, ma la sua forma canonica diventa spazio velato che tramuta lo schema architettonico in una soglia immersa nell’atmosfera indistinta del colore-luce. La struttura compositiva è totalmente decostruita e reinventata dall’emozione del rosso, le colonne si intravvedono appena, l’accesso al tempio si scorge da lontano, sparse tracce emergono dal fondo della materia, euritmia e armonia regolano la forma con microtoni di un solo colore, elegia del monocromo.

 Se diverse opere sono intitolate semplicemente “immagine”, ciò è dovuto al fatto che Giossi tende talvolta all’essenziale, rinuncia al titolo referenziale facendo prevalere la forza tautologica del colore, colore che genera spazio e in esso trova la ragione del suo destino: quello di essere “vocis imago”.

 Nel corso dei cicli pittorici affrontati come transiti intorno alla luce, i livelli di permutazione del colore sono molteplici: il giallo esplode e s’irradia tutt’intorno; nelle trame del bianco si liberano tracce annerite in cerca di equilibrio; nel blu convergono riverberi celestiali e squarci luminosi; dalle cangianze violacee nascono figure che somigliano a fiori gialli dalle movenze carnali. L’idea di figura continua ad essere forma plastico-cromatica, azione corporea, immagine in atto, verità del fare pittura come esperienza del non conoscibile. Il peso immaginativo della figura tende a superare i suoi stessi confini, si muove mentre appare, si rilascia e si ricostituisce come fiamma propulsiva oppure come alito lieve e trasparente.

 

La mente è sempre alle prese con il superamento dei propri limiti, la declinazione delle passioni umane non è mai trascurabile, lo sguardo è in allarme quando deve misurare opposte tensioni del nucleo espressivo.

 

Pensare l’immagine e dipingerla diventa tutt’uno, significa fissare apparizioni sospese sul filo dell’indicibile, vibrazioni interiori, ambivalenze percettive, significati latenti, momenti balenanti in vista del possibile.

 

C’è sempre un margine di differenza tra il pensare la forma e il tradurla nell’energia cromatica che determina il suo avverarsi, si tratta di un’esperienza non meccanica ma carica di pulsioni istantanee, elementi non quantificabili ma rispondenti agli umori sottocutanei del soggetto materico. Il colore è dunque forma attiva, essenza immaginativa sempre sul punto di svelare altri aspetti della sua identità, in quanto fare pittura è per Giossi inventare la forma dei pensieri, porsi in ascolto dei ritmi mentali e delle scosse emozionali che coinvolgono l’immagine nel modo più profondo.

 

La pittura è sempre in attesa di nuove mutazioni, epifanie e magie che avvengono per bagliori e cangianze, ma il desiderio più forte è di svelare le forme inaccessibili alla vista: questa è l’ambizione dell’artista che immagina il color porpora della terra congiunto al fondo silente del cielo.

 

Ogni opera è in tal senso irripetibile, legata a modalità che Giossi va esplorando con tempi di esecuzione legati alle alchimie imponderabili del colore-luce, soprattutto alle impronte del pensiero disseminate nella mappa dei sogni lunari, delle danze cosmiche, delle chimere desideranti che sanno donare un senso allo sguardo che le insegue, con ostinazione.

 

 

 

SULLE ALI DELL’INVISIBILE

 “Tendi l’orecchio all’angelo annunciante”, così recita un altro verso proposto da Giossi, un’immagine che sembra illuminare il significato delle opere dedicate al dialogo con l’angelo, invocazione vissuta attraverso il lieve trasmutare del suo esoterico apparire nello spazio della memoria.

 Il primato della trasfigurazione spinge il soggetto evocato a varcare la soglia del mito per proiettarsi oltre il presente, in uno spazio-tempo dove lo scudo atavico della tradizione si frantuma e si dissemina sull’orlo dei significati possibili, senza prospettive risolutive, in uno stato di continua verifica dell’equilibrio instabile tra radici culturali e richiami interiori.

 Giossi assume la figura dell’angelo come un soffio che sparge luce tutt’intorno, palpita sulle ali del colore vagando senza sosta tra movimenti obliqui che seguono i sentieri dell’anima, emozioni che spingono la mente al di là del linguaggio, mostrando direzioni divergenti.

 Non è un discorso allegorico quello che l’artista intende fare assumendo l’immagine angelica come sublimazione del gesto espressivo, è piuttosto un’invocazione del gesto esistenziale che nutre le creature del sogno ideale.

 La mitografia dell’angelo è un emblema della condizione creativa, la personificazione di una fede interiore che considera la funzione dell’arte come illuminazione dei segreti orizzonti che conducono verso l’agognato altrove. L’angelo diventa per Giossi un autoritratto trasfigurato nella dimensione assoluta dell’universo, emanazione di raggi luminosi dispersi nella dimora delle stelle, figura che sovrasta il mondo prendendo distanza dai suoi affanni e dalle sue peripezie. L’angelo è un simbolo che unisce terra e cielo, una metafora sospesa tra ciò che si conosce e la parte che rimane nascosta, ogni sua apparizione annuncia qualcosa di imprevedibile, la presenza e l’assenza congiunti nella prospettiva di cangianti mutazioni.

 La pittura lascia tracce impalpabili del suo passaggio, aliti sfuggenti che ricordano l’ascesa e la discesa, il vicino e il lontano, l’elemento formante e quello disgregante, il nutrimento e la dissoluzione (Alma mundi).

 Se gli esseri terreni guardano in alto aspirando all’infinito, l’angelo riluce di umano sentire e sempre più si avvicina alla fragilità dell’uomo, in questo scambio di posizioni la mitologia della forma primigenia rimane il punto di riferimento costante per l’avventura di Giossi nei miraggi del colore.

 La pittura vola nell’incanto dello spazio angelico, si fa slancio carico di passione, si inonda di afflati luminosi, è ignara del suo destino, attraversa spazi immensi per volgersi alle zone remote della psiche, le sue ali accolgono vortici di pensieri avvolgenti e non sono mai esauste di cercare nuove immagini ai confini di ogni limite.

 L’artista-angelo sta sempre sulla soglia del visibile, in attesa di immagini che scaturiscono dalla libera immaginazione, ma è una speranza che non ha certezze, gioca con le frenesie del colore istante per istante, augurandosi che qualcosa si risvegli durante le fasi del procedimento creativo.

 La personificazione delle immagini sollecita lo spettatore a sognare spazi ad occhi aperti, l’Angelo di fuoco divora lo spazio al massimo grado della sua tensione conflittuale, l’Arcangelo si ammanta di luce nel bagliore del giallo, mentre innominabili presenze invadono con ardore lo schermo del visibile. L’Annunciazione è dipinta con analoghi colori e si carica dei medesimi spasimi immaginativi, è un evento cromatico che aleggia nello spazio con l’aggiunta di lembi violacei che insinuano segni d’inquietudine.

 L’immagine canonica della Vergine spaventata dall’apparizione dell’angelo diventa uno sciame di colore levitante, mentre nella Resurrezione il tema iconografico si trasforma in un’apparizione stralunata dove i nuclei figurali sono inghiottiti in un’atmosfera violacea di spiritata luminosità.

 La pittura sa diventare anche preghiera, raccoglimento ascetico, prolungata meditazione intorno al senso della vita, riflessione interiore che aspira a trasformare gli elementi primari (terra aria acqua fuoco) in sostanze che trasformano il loro respiro primordiale in nuovi stati del visibile.

 Anche su questo versante, Giossi si comporta come un pittore visionario impegnato a incarnare colori sublimi con i “gesti dell’anima”, atti quotidiani completamente assorbiti dal pensiero dominante della pittura.

 In tal senso, egli interpreta in modo non devozionale immagini di diversa tensione trasfigurante (Attesa Estasi Incarnazione), e lo fa elaborando effluvi di materia che intendono rigenerare il colore come strumento di accrescimento

e perfezionamento dell’essere.

 Nell’icona della “madonna”, l’artista prosegue la sua ricerca di congiunzioni di forze contrapposte, le morfologie si chiudono in sè stesse, quasi per custodire la purezza spirituale nelle trasparenze interne della forma, manto luminoso che avvolge il soggetto sacro portandolo al di là del suo stesso vincolo iconografico. La vera sacralità sta per Giossi nel mistero della volontà creativa, desiderio di affrontare l’enigma della luce di cui si nutre il corpo in relazione con lo spazio dell’ombra, sfondo da cui si staccano i gesti che offrono allo sguardo un al di là dello sguardo stesso.

 Nelle immagini più radicali si avverte la presenza dell’uomo nel vivo della sua inquietudine esistenziale, in tensione con sé stesso, alla ricerca di valori essenziali, spirituali, soprattutto laici, pensieri dell’ignoto, sintesi tra istinto creativo primario e consapevolezza critica dei propri limiti conoscitivi.

 

 

 

SGUARDI OLTRE MISURA

 

Nelle “misure del cielo” vediamo svilupparsi la dualità della luce e dell’ombra attraverso tensioni dinamiche che esprimono il divenire perenne del colore, infinito mutamento delle creature immaginate da Giossi come messaggi corporei dal volto fuggente, processi irripetibili della materia.

 Nella composizione di queste opere si avverte che la struttura dell’immagine presuppone uno svuotamento originario, uno stato virginale e una condizione d’assenza che prelude il configurarsi dell’atto pittorico.

 L’artista dipinge parvenze sospese intorno alle quali gravitano zone circoscritte di colore, l’intenzione è di amplificare la loro risonanza fino a congiungerla con l’ampiezza virtuale del cielo. Le inquadrature dello spazio si basano sull’azione reciproca di tre dimensioni cromatiche che danno carattere all’immagine, momenti che l’artista definisce come valori strutturanti in senso dinamico, atmosferico e formativo: un processo che non ammette la pratica del disegno né in senso progettuale né come intuizione segnica che precede l’atto pittorico.

 E’ l’esperienza diretta del colore che disvela le vie del sentire, che produce la forma senza mediazioni razionali, che dà carattere allo spazio come dimora che accoglie le forze del pensiero creativo. In questo clima di riferimenti l’immagine si fa mistero, enigma poetico, sprofondamento, ma soprattutto volontà non necessariamente costruttiva. Giossi è anzi interessato alla sua funzione distruttiva, a un tipo di energia intenzionale che non corrisponde a un preciso progetto ma esplora le possibilità dell’oltre, là dove non v’è alcuna certezza conoscitiva.

 Ci sono opere dove più forte è la percezione dell’attimo non come immediatezza esecutiva ma istante esistenziale che si sottrae a tutto il resto per concentrarsi unicamente sul fare pittura, sperimentando fino in fondo quelle tensioni non ancora compiutamente espresse, ma che saranno tali.

 Le figure di Giossi sono animate dallo stupore e dallo spaesamento, tutto ciò che avviene sulla superficie è sempre in gioco, anche se nel corso del tempo si è determinato uno stile pittorico, un modo di operare e di provocare la materia, che risponde a caratteristiche persistenti: primarietà del gesto, luminosità del colore di fondo, alternanza tra movenze fluide e zone dense e compatte, strutturazione entro un equilibrato schermo frontale.

 L’uso di perimetri che racchiudono ogni superficie dipinta risponde all’esigenza di creare partizioni interne e -nello stesso tempo- di scandire la sequenza delle opere come fossero organismi autonomi, inquadrature di morfologie mutanti, ideali nuclei dove le s-figurazioni incarnano i differenti stati immaginativi sottratti a qualunque utopia narrativa.

 In tal senso, in ogni opera avvengono audacie cromatiche animate da tensioni chiaroscurali e fusioni di luce che nascono dalla veggenza della materia pittorica, vera conduttrice di uno sguardo che si muove oltre le coordinate strutturali dell’immagine.

 La luce ardente del rosso dialoga con la profondità insondabile della notte, lo spargimento del giallo inonda la dimensione del giorno trasfigurata nell’abbagliante estensione del cielo, come se la pittura fosse sempre al primo atto della propria origine.

 Il colore del cielo può essere un intenso blu o un tono violaceo, talvolta è un suono dilatato nel rosso o una breve stesura annerita d’angoscia, d’altro lato può avere la sensualità del colore arancio che evoca aromi di natura.

 In diverse opere persiste la struttura bipartita che prevede due zone cromatiche distinte, un nucleo figurale circoscritto che è collocato solitamente in basso rispetto alla fascia monocromatica dell’orizzonte, con conseguente contrapposizione luminosa tra un riquadro e l’altro.

 Esistono composizioni dove il peso dell’immagine è bilanciato dalla misura del cielo, l’impressione è che il pittore intenda contrapporre al fluire del colore una zona di silente meditazione, una campitura soffusa ma compatta che evoca l’emanazione inesauribile della luce.

 A tal proposito viene in mente una riflessione di Mark Rothko, uno degli artisti più amati da Giossi, una dichiarazione penetrante, dove si legge: “Tuttavia la singola figura non è in grado, con un movimento delle membra, di suggerire la propria angoscia per la consapevolezza della morte e l’insaziabile sete di vita che a essa si contrappone. E neppure è possibile vincere la solitudine. (…) Non credo che sia mai stata questione di essere figurativi o astratti. Piuttosto si tratta di porre fine a questo silenzio e a questa solitudine, di dilatare il petto e tornare a respirare”.

 Avviene in Giossi una completa adesione allo spazio che s’interpone tra corpo e corpo, corpo dell’artista che col gesto cerca luce nella tenebra e corpo del colore generato dalla materia che abita la superficie.

 Il problema è di rendere attiva l’influenza dell’inconscio attraverso il dominio del gesto che fissa con immediatezza le movenze del corpo, le sviluppa e le mostra senza perdere energia nel corso del suo evento.

 In tal senso, si avverte che in ogni opera s’impone uno sguardo oltre misura, un impulso che registra il respiro della materia in relazione al fluire del gesto pittorico. Così ogni spostamento, ogni deformazione e scatto metamorfico restituisce sia la concentrazione psicofisica dell’artista sia la possibilità di liberarsi dagli automatismi esecutivi per raggiungere un nuovo stato di vitalità cromatica.

 

 

 

LA LUCE DELLE TENEBRE

 

Nella pittura di Giossi non v’è mai separazione della luce dalla tenebra, la visione mutevole prevale sull’esigenza di strutturazione, il fluire dei pigmenti sulla tela ruvida esprime la qualità creaturale delle sostanze fisiche e psichiche che partecipano alla dimensione visionaria del colore.

 Opere di profonda immersione nella luce delle tenebre sono quelle pervase dalle magie dell’ombra, dense macchie corporee abitano lo spazio, mentre riverberi d’oscurità si annidano nel fondo del visibile.

 Per evocare la notte Giossi inventa parvenze stregate, forme indistinte che appaiono nell’attimo in cui sono inghiottite dal nero; per trasfigurare il peso dei corpi si affida alle incandescenze del rosso; d’altro lato, per rendere con

differente fluidità i bagliori del giorno si affida ai palpiti del bianco, esplorando il senso luminoso dell’anima

attraverso l’incanto dell’ombra.

 D’altro lato, le gradazioni dell’indaco e del viola producono sensazioni estatiche, la luce fluisce nel velo delle apparizioni inspiegabili, il divenire morfologico della figura è simile un manto dalle pieghe mutevoli, dove si intravedono linee corporee che fluttuano e si diramano nello spazio.

 Il colloquio con le potenzialità fantasmatiche dell’immagine si svolge passando dall’interno all’esterno, è la spinta del pensiero in lotta con territori sconosciuti. Espressività gestuale e azione stratificata della materia sono traccia e prolungamento del sentire, fusione tra la manipolazione fisica dei pigmenti e il controllo razionale delle vibrazioni occulte.

 Il senso della nascita e della morte accompagna il tempo che fugge nel pulviscolo delle tenebre, nella polvere cinerea che avvolge i movimenti incorporei delle figure. La loro identità inesplicabile non può essere mai detta se non attraverso la forza rivelatrice del dipingere, trama del colore che annotta e si fa prossimo alla luce, al deliquio dei suoi palpiti.

 Si tratta di lasciar affiorare le forme del corpo come ombre della mente e -nello stesso tempo- suggerire che sono destinate a sprofondare nella cavità delle tenebre che le accoglie, con effetti che non è mai possibile precisare, tutto sfugge a una precisa determinazione.

 Per queste ragioni dipingere significa per Giossi andare incontro a immagini che provengono dalle zone remote dell’ombra come atmosfere alterne di illusione e disillusione, vero principio vitale per la conoscenza del dubbio. Dubitare è infatti la probabile certezza della pittura che inseguire nelle tenebre forme immaginarie destinate a sprofondare dentro sé stesse, fino quasi a regredire per poter andare avanti, sulla soglia visionaria del colore.

 L’interesse per il corpo non viene mai meno anche nei casi in cui il pittore sfiora la materia e la tratta con scabra essenzialità, lasciando spazio soltanto a campiture dilatate e atmosfere evanescenti, pause funzionali all’esigenza di staccarsi ogni tanto dai fluidi scivolamenti del gesto. Ecco allora che l’immagine si dilata e diventa solenne, talvolta anche sontuosa, come un quieto respiro che attende una nuova rivelazione, una diversa trasmutazione cromatica portata al culmine della tensione immaginativa.

 Uno dei caratteri dominanti è il campo atmosferico del rosso, esso s’irradia impadronendosi dello spazio in modo sfavillante, eccitazione sensoriale e gioia dell’animo, piacere di conoscere i ritmi energetici dell’universo intero.

 Le indicazioni iconografiche non limitano la ricerca della luce, anzi per certi versi rafforza il carattere simbolico dei colori, il dualismo del giorno e della notte, i canti solari e le arpe lunari, flussi senza tregua della memoria.

 Analoga energia cromatica si avverte nel guizzo verde della mantide che divora gli equilibri della mente, oppure nel virgulto di qualcosa che sta per nascere, nel gesto che prelude a nuove forme di vita, o ancora nell’urlo che squarcia il velo del cosmo celeste. Si tratta quasi sempre di opere che evocano la vita dei sensi attraverso l’istinto primordiale del colore, fiamma che arde all’interno di ogni immagine, qualunque sia il tramite di ogni apparizione, dalle trasparenze celestiali agli oscuri presagi del futuro.

 Giossi ha dipinto anche opere dal forte impatto chiaroscurale, raddoppiando la luce per atmosfere dove il senso dell’occultamento si congiunge con il disvelamento, misteriosa identità del colore che si sottrae a un preciso significato per abbracciarli tutti, conoscenza mistica del mondo.

 D’altro lato, la visione torna a sprofondare nella penombra, negli infiniti stati di attesa della luce che emerge bianca e silente nello spazio surreale di forze sconosciute, come una traccia sottile che sembra un sibilo nel vuoto.

 Il riferimento alla “sibilla cumana” di Michelangelo non è che un ulteriore tramite con la storia dell’arte antica, fonte di seduzione che Giossi coltiva parallelamente alla lettura di Dante e dei classici, tramiti per cogliere le risonanze liriche e spirituali della sua visione del mondo.

 Si tratta di componenti letterari che infondono energia al linguaggio della pittura, alle variazioni timbrico-tonali del colore che oscilla tra le brevi e le ampie superfici affrontando i grandi interrogativi intorno alla natura misteriosa e atemporale dell’immagine.

 Per questa ragione, il percorso espositivo delle opere scelte per questa mostra presso la Casa del Mantegna si sviluppa con un andamento corale che accompagna le figure in una sequenza che rinnova il processo di metamorfosi del colore, al di là di ogni teoria che pretende di circoscrivere i singoli nuclei pittorici trascurando i rimandi e le connessioni formali.

 In quanto, la ricerca si dirama senza limiti temporali seguendo la danza e il suono delle forme attraverso la vita del colore, sostanza di ogni ideazione, fulcro generativo di tutte le avventure dello sguardo.

 Di conseguenza, l’esposizione non segue strettamente il filo cronologico ma procede per accostamenti di opere anche distanti per esecuzione, aderendo a un’esigenza che Giossi sente sopra ogni altro metodo, la necessità di seguire la sua natura di pittore in cerca di immagini consonanti e senza tempo, luminose tensioni spirituali come spazi pervasi da smisurate risonanze.

 

 

 

Claudio Cerritelli